Verso un internet più sobrio: come ridurre la nostra sete digitale
Ora che abbiamo sollevato il velo sull’acqua invisibile che alimenta il nostro mondo digitale, viene naturale chiedersi: cosa posso fare io? In fondo, non siamo ingegneri di data center, né amministratori di server farm. Siamo utenti comuni. Eppure, come spesso accade nei grandi cambiamenti, la somma delle azioni individuali può fare la differenza.
Piccoli gesti quotidiani che dissetano il pianeta
Cominciamo dalle abitudini più semplici. Anche senza spegnere per sempre lo smartphone o rinunciare a Netflix, ci sono scelte che possono alleggerire di molto la nostra impronta idrica digitale.
Per esempio, potremmo disattivare l’autoplay dei video su piattaforme come YouTube, Facebook o Instagram. Non solo riduciamo il consumo di dati, ma anche quello energetico (e quindi idrico) che ne deriva. Ogni video che parte senza che lo vogliamo è un rubinetto lasciato aperto.
Lo stesso vale per la qualità dello streaming. Siamo davvero sicuri che serva guardare un documentario dal telefono in 4K, mentre siamo in autobus? Spesso, abbassare la risoluzione da “ultra HD” a “HD” o anche a “SD” non cambia quasi nulla nella nostra esperienza visiva, ma cambia moltissimo in termini di dati trasferiti. E ogni gigabyte risparmiato è litri d’acqua salvati.
Anche i nostri file salvati nel cloud possono diventare un peso inutile. Backup automatici duplicati, cartelle dimenticate, vecchie foto che non guarderemo mai più: tutti questi dati occupano spazio e richiedono energia per essere conservati. Fare pulizia digitale è un atto ecologico. È come chiudere il rubinetto quando ci laviamo i denti.
E ancora: ogni email inutile che inviamo (o che non cancelliamo) resta salvata da qualche parte, spesso duplicata in più server. Iniziare a cancellare vecchie email, disiscriversi da newsletter indesiderate, usare meno gli allegati pesanti: sono azioni piccole, ma significative.
Non solo utenti: il ruolo delle aziende tecnologiche
Naturalmente, non possiamo ridurre tutto alla responsabilità del singolo. Le grandi aziende tecnologiche hanno un ruolo cruciale. Fortunatamente, alcune lo stanno prendendo sul serio.
Google, ad esempio, ha annunciato che entro il 2030 tutti i suoi data center saranno alimentati al 100% da energia a zero emissioni di carbonio, 24 ore su 24. Ma non solo: nel 2023 ha reso pubblici i dati sul consumo idrico dei suoi impianti, impegnandosi a migliorare l’efficienza dei sistemi di raffreddamento, in alcuni casi usando acque grigie o riciclate.
Microsoft, dal canto suo, ha promesso di diventare “water positive” entro il 2030. Cosa significa? Che restituirà più acqua di quanta ne consuma, attraverso progetti di recupero idrico, sistemi a circuito chiuso e investimenti in bacini idrici locali.
Anche Amazon Web Services ha cominciato a misurare (e pubblicare) il suo water usage efficiency (WUE), un indice che esprime il rapporto tra litri d’acqua usati e kilowattora consumati. Il loro obiettivo è raggiungere zero uso d’acqua potabile per il raffreddamento in aree a rischio idrico.
Tutto questo è positivo, ma resta il fatto che la trasparenza è ancora parziale, e molte aziende non forniscono dati chiari sul consumo idrico dei propri servizi. Come consumatori, possiamo esercitare una forma di pressione indiretta, premiando le aziende più virtuose e chiedendo più responsabilità a quelle opache.
Il paradosso utile: usare il digitale per salvare l’acqua
A questo punto, potremmo cadere nella tentazione del cinismo: se anche guardare un video o inviare un’email inquina, tanto vale rinunciare a tutto. Ma sarebbe un errore.
Il digitale, se usato con criterio, può diventare uno straordinario alleato della sostenibilità. Pensiamo allo smart working, che durante la pandemia ha ridotto milioni di spostamenti quotidiani in auto o in treno. O ai sistemi di monitoraggio climatico basati su sensori e dati in tempo reale, che aiutano a prevenire siccità e sprechi agricoli.
Anche l’informazione ambientale, la mobilitazione ecologista, la raccolta fondi per progetti di riforestazione o di accesso all’acqua: tutto questo avviene grazie a internet. Possiamo conoscere i dati sul consumo idrico, perché qualcuno li ha pubblicati online. Possiamo firmare petizioni, sostenere ONG, partecipare a progetti di educazione ambientale… tutto grazie al web.
Dunque, il punto non è disconnettersi, ma collegarsi meglio. Con maggiore consapevolezza, con spirito critico, con una nuova alfabetizzazione ecologica che includa anche l’aspetto digitale.
Riconnettersi con ciò che non si vede
Ciò che rende l’acqua digitale un tema così urgente è la sua invisibilità. L’impatto idrico del nostro stile di vita online è come l’inquinamento da plastica negli abissi: non lo vediamo, quindi fatichiamo a percepirlo. Ma c’è. Ed è reale.
In un’epoca in cui la crisi idrica si fa sempre più presente – con fiumi in secca, agricoltura in difficoltà, città a rischio razionamento – dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare. Non più “ciò che è immateriale non ha impatto”, ma piuttosto “ogni gesto, anche invisibile, lascia una traccia”.
Quella traccia può essere più o meno profonda. Più o meno disastrosa. Più o meno sostenibile. Dipende da noi.
Conclusione: ogni clic ha sete
Internet non è un mondo a parte. È fatto di server, fibre ottiche, antenne, miniere di metalli rari e… acqua. Tanta acqua. Un’infrastruttura fisica nascosta, ma concreta. E ogni nostro gesto digitale, per quanto leggero e innocuo possa sembrare, attinge a quella risorsa preziosa.
Ma non è troppo tardi per cambiare. Possiamo educarci, fare scelte migliori, pretendere più responsabilità da chi progetta e gestisce il web. Possiamo renderlo un luogo non solo più intelligente, ma anche più sobrio. Meno assetato.
Forse, d’ora in poi, guarderemo il nostro smartphone con occhi diversi. E ogni tanto, tra una scrollata e l’altra, ci chiederemo: quanto ha bevuto questo post?
Vuoi agire? Ecco cosa puoi iniziare a fare oggi:
Fai pulizia nel tuo cloud e nelle email.
Disattiva l’autoplay dei video.
Usa lo streaming in bassa qualità quando possibile.
Sostieni aziende che investono in sostenibilità idrica.
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